Ai Wei Wei
Chen Yu
Chen Zen
Gao Xingjian
Lin-Tianmiao
Liu Dahong
Unmask
Zhang-Huan
|
|
Maggio 2006
Al MiArt la Cina è vicina!
di Barbara Improta
Dal 30 marzo al 2 aprile FieraMilanoCity ha aperto le
porte all’undicesima edizione del MiArt, la Fiera Internazionale
d’Arte Contemporanea di Milano e, udite udite!, lo spazio espositivo
ampio e arioso progettato dall’architetto Mario Bellini sembra destinato
a diventarne la sede permanente senza più continui traslochi da
un’area all’altra del quartiere fieristico della città.
È questa la prima nota positiva di un’esposizione che sta
migliorando di anno in anno la sua proposta in eterna concorrenza con
le altre due fiere d’arte più importanti del settore, ArteFiera
di Bologna e Artissima di Torino. Rispetto all’indiscussa star bolognese,
affollata e mondana, e alla trendissima e sperimentale fiera torinese,
la mostra-mercato milanese sta nel mezzo: meno affollata e mondana, ma
per questo più facilmente visitabile e meno stressante, con ampi
e confortevoli punti-ristoro e stand più grandi e ariosi, e meno
sperimentale ma con un pari interesse verso il settore moderno, con pezzi
storici a volte splendidi, e verso quello contemporaneo, selezionando
con cura alcune tra le gallerie giovani più interessanti del momento
e, inoltre, uno sguardo attento al design d’autore (settore Art&Co).
Ma vediamo nel dettaglio cosa offriva quest’anno il MiArt, le peculiarità,
le conferme di successo e le novità. L’esposizione si snoda
sui due piani del padiglione 15, il primo è quasi interamente dedicato
al Moderno, con artisti dal primo Novecento agli anni ’60. In questo
settore spicca come un diamante ‘La tomba di Mussolini’ di
Pisani-De Dominicis (Cardelli e Fontana) mentre J&G sfoggia opere
da museo come un ‘Buste d’homme’(1969) di Picasso e
‘Deux femmes avec des chapeau a fleurs’ (1915) di Renoir.
Stupisce anche Eidos con una splendida galleria di Hartung, Centro Steccato
con un ‘Concetto spaziale’ di Fontana del ’55 e Pluraebello
Milano con un ‘Sacco’ di Burri del ‘54, Mappamondo con
le bellissime acqueforti di Morandi e un catrame e smalto su tela di Manzoni
del ’57. Due esordienti di lusso tra le gallerie del settore moderno,
Thessa Herold di Parigi con delle chicche di Max Ernst e Man Ray e Manuel
Barbié di Barcellona che espone i surrealisti Yves Tanguy e André
Masson e i suprematisti Malevic e El Lissitzky. Fanno bella mostra di
sé i disegni degli impacchettamenti più famosi di Christo
e Jeanne-Claude (Anfiteatro Arte, Tega) reduci dalla bella retrospettiva
di Lugano mentre da Lorenzelli c’incanta un nudo di Viani.
Il settore Contemporaneo occupa parte del piano terra e del primo piano
con ben 106 gallerie tra italiane e straniere che ci presentano il meglio
dell’arte presente: Ca’ di Fra’ con le ormai classiche
foto di Witkin e Giacomelli, Ben Brown (UK) con gli interni della Hofer
e il trittico ‘Nacht’ di Ruff, Lia Rumma con la star dell’Hangar
Bicocca Marina Abrahamovic e le arcinote tavolate di modelle della Beecroft,
l’ironia di Antonio Riello (Rino Costa), i formidabili ‘piombi’
di Kiefer (Contini).
La presenza dei grandi big dell’arte alla fiera di Milano conferma
le parole del critico americano Jerry Saltz che ha definito le fiere come
le nuove biennali, considerazione ancora più valida se si considerano
le novità introdotte al MiArt quest’anno, tutte volte a valorizzare
e far conoscere a collezionisti e pubblico le nuove espressioni artistiche,
video e digitali, e i nuovi talenti dell’arte contemporanea. Si
sta parlando del settore Anteprima che occupa una parte del primo piano
del padiglione e presenta le gallerie e gli artisti più giovani
e interessanti, protesi verso la sperimentazione e la ricerca di nuovi
mezzi d’espressione. La sezione è adeguatamente supportata
da una ‘short guide’, un agile catalogo speciale, base utilissima
per conoscere l’attuale scena artistica giovane. Le proposte più
interessanti? Le foto dell’intensa performance di Santiago Sierra
‘Persona’ (Prometeo Gallery), il giovane egiziano Khaled Hafez
(San Carlo New Contemporary), le foreste espressioniste e neo-nabis di
Simon Keenleyside (Cannaviello), le visioni ‘alternative’
sul nostro mondo del croato Igor Eskinja (Luger Gallery). Tra le meridionali,
a dire il vero un po’ troppo poche al MiArt, bella la mini-galleria
di raffinate cancellature di Eugenio Tibaldi dal napoletano Umberto De
Marino, i disegni feroci di Federico Solmi da Not Gallery, giovane galleria
sempre napoletana, il ritratto ‘bianco’ di Pasolini di Pietro
Capogrosso da Paolo Erbetta, realtà artistica di Foggia, e le proposte
tutte sarde (Greta Frau, Christian Chironi) della cagliaritana Capitol.
All’interno di Anteprima la curatrice Olivia Spatola ha creato uno
spazio dedicato alla forma più innovativa del momento, il video.
Video at Miart, un’altra interessante novità di questa edizione,
mira a creare uno spazio permanente dedicato alla videoarte seguendo le
tracce di altre fiere internazionali, Loop e Diva, dedicate ai new media.
Le gallerie partecipanti, 16 in tutto, hanno presentato videoproiezioni
in stand appositi (ma dovranno essere migliorati i luoghi di fruizione,
visione e audio non erano decisamente al meglio). L’occasione era
ghiotta per (ri)vedere la coinvolgente ‘incisione su carne’
di Regina José Galindo, Ra Di Martino, Elastic Group, Richard Journo,
Federico Solmi, Martin Kersels.
Una conferma di successo della fiera milanese, e non poteva essere altrimenti
nella capitale indiscussa del design, è la presenza, dal 2004,
del settore Art & Co. dedicato agli espositori che si occupano di
arte e design, presentando pezzi unici di grandi maestri, come Arnaldo
Pomodoro.
Ma veniamo alla vera, grande novità dell’edizione 2006, la
decisione di ospitare ogni anno un paese straniero e dedicare un ampio
spazio espositivo alle sue gallerie più importanti, oltre che conferenze
e tavole rotonde per offrire approfondimenti e apporti critici alla comprensione
dell’arte di quel paese. E quale poteva essere il primo paese ospite
del MiArt se non la Cina delle meraviglie, il gigante che conquista a
grandi passi il mercato mondiale, compreso quello dell’arte (anche
in questo caso la fiera asseconda un trend delle ultime biennali)? Come
scrive Eleonora Battiston sull’ultimo numero di Flash Art, è
in atto un importante cambiamento di ‘prospettiva’ nell’arte
cinese. In questi ultimi cinque anni gli artisti cinesi hanno invaso gallerie
(al MiArt di quest’anno ad esempio la romana Lipanjepuntin ha puntato
molto sul vendutissimo Zhang Huan) e fiere internazionali, tanto che sono
state molte le mostre in spazi pubblici dedicate all’arte cinese
(come la mostra ‘Cina - Pittura Contemporanea al Palazzo Bricherasio
di Torino nel 2005). Ora, però, sono gallerie e case d’asta
locali a ‘gestire’ i sempre più quotati artisti cinesi
e a dettare le regole del mercato tanto da non avere quasi più
bisogno di esposizioni fuori dal territorio cinese visti i prezzi stellari
delle opere e la presenza di un collezionismo cinese molto più
‘agguerrito’ di quello europeo o americano. Molte lungimiranti
gallerie europee hanno colto questa tendenza ed hanno aperto, negli ultimi
anni, una succursale a Pechino o Shangai, considerando che i costi logistici
e di manodopera sono ancora molto più bassi che da noi e che c’è
una classe emergente di nuovi ricchi alla ricerca smodata di nuovi beni
di lusso. Tra queste l’antesignana milanese Marella, che al Miart
espone le foto con i corpi-paesaggio di Huang Yan e i corpi sospesi nel
vuoto di Li Wei, seguita dalla toscana Continua (qui in fiera si fa notare
l’inquietante automobile che genera piccoli cloni come scarafaggi
di Chen Zhen). Tra le straniere la giapponese Hanart TZ Gallery, che ha
aperto con successo una succursale ad Hong Kong, ci permette di vedere
a Milano il bellissimo video ‘Factory’ di Chen Chieh-Jen.
Sono però le gallerie gestite da cinesi a farla da padrone un po’
perché conoscono meglio la realtà cinese, notoriamente difficile
da comprendere a pieno per gli stranieri, un po’ per il nazionalismo
che contraddistingue questo popolo. Le gallerie ‘made in China’
sono diventate in breve potentissime perché beneficiano del collezionismo
straniero e sono di certo preferite da quello locale. A Milano erano presenti
molte tra le gallerie più importanti di Pechino e Shangai, le due
capitali dell’arte cinesi (Pechino in primis), tra cui segnalo Pekin
fine art (le demolizioni selvagge di Zhang Dali, il trittico corale di
Wang Quing Song), Shangart Gallery (i poster di protesta di Zhao Bandi,
le foto ‘ectoplasmatiche’ di Liang Yue, l’ironica e
fiabesca ‘stampa su seta’ di Tang Mahong), Beijing Tokyo Art
Projects (Lin Tianmiao). Questa ricca panoramica sull’arte cinese
ci offre la possibilità di coglierne le specificità e i
processi evolutivi, presentando gli artisti già affermati e le
novità a noi finora sconosciute perché l’arte, come
la società, si evolve in Cina ad un ritmo velocissimo. La forte
lacerazione tra vecchio e nuovo di qualche anno fa, che portava ad una
tensione tra l’attrazione delle lusinghe della civiltà capitalista
e la persistenza di mitografie legate al passato comunista, si è
in qualche modo stemperata. Il linguaggio pop, dai colori forti e dissonanti
e dalle grandi figure in primo piano, debitrice del cartellonismo di propaganda
comunista come dei più appariscenti modelli occidentali, sono meno
presenti. La pittura è sempre figurativa e realista ma di un realismo
intimista, molto concentrato sull’individuo ed il suo senso di spaesamento
di fronte ai cambiamenti repentini della società. Più che
la tensione ora prevale il senso di sospensione (Li Wei fluttua nel vuoto
fra i grattacieli della megalopoli), la riflessione sul mistero dell’identità
(le personalità appannate e ‘fumose’ delle donne di
Yang Qian, le foto bianche di Liang Yue) e più che il rifiuto o
l’attaccamento ad un passato ormai chiuso, si avverte la nostalgia
verso valori che si teme perduti: molti sono gli artisti che guardano
al mondo rurale cinese o si fanno rapire dalla bellezza di una natura
in pericolo tanto da tatuarsela sul corpo per non dimenticarla come Huang
Yan. La critica sociale verso un cambiamento feroce che distrugge senza
pietà, e che in fondo rispecchia l’inesistente rispetto per
la volontà individuale da sempre tratto fondamentale della società
cinese, è ancora presente e forte: i paesaggi in rovina, le demolizioni
, lo sguardo sulle degradate e disperate periferie metropolitane, l’idea
del volto senza identità (Zhang Dali). Si fa strada, però,
un maggiore disincanto, una sorta di lucida riflessione che registra i
cambiamenti e li analizza con maggiore freddezza ma anche distaccata ironia.
A tratti poi lo sguardo si fa visionario, nel mondo dei miracoli tutto
è possibile, il realismo sta lasciando il posto alla visione, al
fantastico, al surreale. Anche dal punto di vista tecnico l’essere
continuamente in bilico tra conservatorismo e volontà di rinnovamento
è ben evidente, mentre si affermano sempre di più i nuovi
media, fotografia, video, digital art, si recuperano le stampe sulla seta,
l’inchiostro su carta di riso e l’amore per il decorativismo
e per gli ideogrammi cinesi emerge persino nella body art (gli ideogrammi
scritti sul corpo di Zhang Huan). Al MiArt l’arte cinese è
apparsa così, contraddittoria, inquieta, stimolante, disperata,
ironica, visionaria…ma la situazione è in continuo divenire
e non sappiamo come cambierà nei prossimi mesi (!) la Cina dei
Miracoli.
|