Giacomo Costa - Ritratti di città


Giovedì 16 giugno 2005 alle ore 19.00 presso il Ridotto del Teatro Stabile in occasione degli eventi del Maggio Potentino, il Comune di Potenza e l’associazione culturale Amnesiac Arts, hanno invitato l’artista Giacomo Costa ad eseguire un ritratto della città.

Giacomo Costa già presente con i suoi “agglomerati urbani” nella mostra Future Visioni tenuta al Museo Provinciale nel 2002, ha così avuto modo di creare una suggestiva visione di Potenza in linea con la sua poetica artistica e inserita nella sua serie di ritratti di città.

Il 16 giugno nel ridotto del Teatro stabile alle ore 19.00 l’artista presenterà la sua opera e incontrerà il pubblico di Potenza.

Interverranno
Giacomo Costa,
Vito Santarsiero Sindaco della città di Potenza
Rino Cardone giornalista e critico d'arte
Massimo Lovisco presidente Amnesiac Arts

Articolo di Barbara Improta per Exibart (www.exibart.com)

Giacomo Costa, nella veste di moderno vedutista, mira a cogliere il senso profondo e vitale delle città. Al posto della camera ottica la macchina fotografica digitale è lo strumento di partenza per un’interpretazione originalissima del volto urbano contemporaneo. Due sorprendenti Agglomerati sono il frutto del suo incontro con la città di Potenza.

Riferendosi ad una veduta di Cataletto che arditamente accostava il ponte di Rialto a edifici situati in altri luoghi, il suo committente la definiva un «nuovo genere di pittura, il quale consiste a pigliare un sito dal vero e ornarlo di poi con belli edifici o tolti di qua o di là». Questa veduta non era un divertente capriccio architettonico ma, nello smontare i simboli del potere marciano, dissacrava il mito del buon governo ed esprimeva l’esigenza di un rinnovamento architettonico e urbano di Venezia. Un ‘ritrattista’ di città, nella visione mai neutrale che di essa ci offre, può essere in grado di decodificare i segni di un ambiente e di interpretare il particolare momento politico-culturale che esso attraversa.
Gli Agglomerati di Giacomo Costa (Firenze, 1970), dietro la colorata danza di facciate, le montagne di palazzi che scalano il cielo, le prospettive impazzite, il divertito scardinamento di ogni regola costruttiva, affrontano il problema del ruolo della città nel mondo contemporaneo. Se nelle immaginarie vedute digitali Costa materializza la sua Generic City in una Megalopoli anonima e mostruosa, entità astratta e incubo immanente ad un tempo, in continua e incontrollata crescita e arriva ad immaginare un apocalittico futuro oltre di essa nelle sue sublimi e bizzarre ‘rovine dal futuro’, con gli Agglomerati recupera il contatto con la realtà confrontandosi con l’instabilità, la contaminazione e la permeabilità del mondo globalizzato. Le sue prime vedute cittadine, mescolando liberamente edifici per lo più anonimi, si concentravano proprio sul panorama frammentario e incoerente che accomuna le città di ogni latitudine rendendole tutte simili ad un mosaico di pezzi semplicemente giustapposti, senza regole a controllarne gli accostamenti ma anche come un incredibile campo di energie, di flussi e dinamiche del tutto inedite. Nei suoi ultimi lavori fotografici, invece, Costa sembra farsi portavoce dell’esigenza di recuperare un’identità urbana sempre meno riconoscibile, alla ricerca sempre più difficile della cifra stilistica che rende ogni città unica. Da postmoderno artista digitale che «si autonega l’indagine spaziale della fotografia usando i tempi del viaggio per costruirsi i suoi sistemi algoritmici atti a inventare al computer le immagini dei suoi luoghi invisibili» (Davide Faccioli), egli torna ad immergersi nella vita della città con uno sguardo che sorprendentemente mescola chiarezza illuminista e follia visionaria. Il primo ‘ritratto’ dedicato a Firenze, la sua città, evita volutamente l’iconografia classica che la rende riconoscibile al mondo intero rivelandoci la Firenze dei quartieri, quella vissuta dai suoi cittadini.
La realtà urbana di Costa non è quella imposta da piani regolatori né quella ammirata dai turisti ma quella scelta e modificata dall’uomo comune con i suoi spostamenti quotidiani, le abitudini, i riti, l’elezione spontanea di punti di aggregazione e sembra sostenere l’idea di una urbanistica ‘partecipata’ come strumento primario delle amministrazioni locali per la gestione del territorio. La stessa ricerca è alla base dei due Agglomerati dedicati a Potenza, realizzati su invito del Comune della città in collaborazione con l’associazione AmnesiacArts ed ora collocati nella sala riunioni del Municipio. «Le forme del paesaggio e quelle architettoniche dell’Italia meridionale m’impressionarono» diceva Escherricordando i suoi straordinari paesaggi di montagna abruzzesi. E Giacomo Costa, che condivide con l’artista olandese l’idea di uno spazio complesso e articolato, ha trovato particolare ispirazione nel paesaggio di Potenza, con il labirintico snodarsi delle strade intorno ad un picco roccioso su cui si abbarbica una ridda di palazzi. L’ Agglomerato n. 17 ritrae i quartieri popolari della città, l’espansione urbanistica degli anni ’80 dopo il terremoto che ha drammaticamente rivelato la fatiscenza di larga parte degli edifici urbani. La costruzione dell’opera è tra le più ardite e impressionanti dell’artista: il punto di fuga velocissimo sembra risucchiare in un vortice le strade, i palazzi e lo stesso sguardo dello spettatore, espressionistica traduzione dell’impressione che si prova addentrandosi in questo quartiere, non a caso chiamato dai suoi abitanti ‘il Serpentone’, che avvolge nelle sue spire di cemento la collina su cui sorge. Nell’ Agglomerato n. 18 Costa esplora il centro storico della città e, come aveva fatto per Firenze, esclude dal suo sguardo la Piazza principale, circondata da edifici di architettura borghese tardo-ottocentesca e fascista e si sofferma su una piccola piazza ricavata dietro la strada principale e trasformata dai bambini in un campo di calcio. Questa anarchica e imprevedibile scelta di funzione lo attrae, da ritrattista diventa urbanista demiurgo: osservando la piazza stando a mezz’aria la dilata, le conferisce una irregolarità che la esalta. Allo stesso scopo, e per dare un vivace dinamismo alla scena, moltiplica i punti di fuga provocando una anomala apertura delle quinte laterali e disorientando ancora una volta lo spettatore con il contrasto tra l’ariosità di tale allargamento di veduta e l’oppressione provocata dalla calca di palazzi che incombono sulla piazza.